Cass. civ. sezione III, sentenza n. 26200 del 6.12.2011
“Ritenuto il dovere,
ex art. 2048 c.c., dei genitori di impartire ai figli minori una educazione
adeguata, personalizzata ed efficace, fondata, soprattutto, sul rispetto delle
regole di civile coesistenza nei più diversi rapporti con il prossimo ed, in
genere, nello svolgimento di ogni attività extrafamiliare; ritenuto che l'art.
2048 c.c. è costruito in termini di presunzione legale di colpa dei genitori
qualora questi ultimi non provino di non avere potuto impedire il fatto lesivo
consumato dalla prole; e ritenuto, altresì, che la carenza o l'inadeguatezza
dell'educazione e della vigilanza parentali può ricavarsi anche dalla gravità e
dalle modalità del fatto illecito commesso dal figlio in seno alle sue
relazioni, anche d'ordine sportivo o ricreativo, con i terzi, sono soggetti
alla responsabilità prevista dall'art. 2048 c.c. cit., e devono, quindi,
risarcire ogni danno provocato dal figlio che, impegnato in una competizione
sportiva (partita di calcio ) con coetanei, abbia,
a gioco fermo e senza avere subìto in precedenza alcuna aggressione o alcun
comportamento sportivo provocatorio o scorretto, colpito, d'improvviso, con una
testata violenta e del tutto inaspettata, un componente della squadra
avversaria; né vale a liberare dall'obbligo del risarcimento i genitori del
minore la loro impossibilità di intervenire nel corso della competizione, o il
mancato intervento preventivo, ma del tutto problematico, degli organi sportivi”.
Il fatto. Nel corso di una partita di calcio, un calciatore
minorenne veniva colpito con una testata da un giocatore della squadra avversaria
– anch’egli minorenne -, mentre il gioco era fermo e senza che in precedenza vi
fosse stata alcuna aggressione o fallo di gioco di particolare gravità.
Ciò premesso, occorre anticipare che la sentenza in
commento, senza ombra di dubbio, fornisce importanti risposte ad interrogativi in
punto responsabilità degli esercenti la potestà genitoriale nel caso di eventi
verificatesi durante la partecipazione del figlio minore d’età a competizioni
sportive di qualsivoglia genere.
In particolar modo, la Suprema Corte ha
affermato la fallacia del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello di
Bologna, che, in estrema sintesi, aveva ritenuto - in particolari contesti
spazio temporali - le azioni lesive poste in essere da un soggetto minore non imputabili
al mancato o carente esercizio da parte degli esercenti la potestà parentale
del potere di vigilanza, in quanto quest’ultimo concretamente non esercitabile
per la materiale assenza del minore dalla sfera di custodia del padre e della
madre.
Al contrario, la
Corte di Cassazione, pur non volendo affatto disattendere il
criterio di ragionevolezza all'insegna del quale era stato pure condotto il
ragionamento del giudice di seconda istanza, ha dilatato di molto l’analisi dei
fatti di causa, chiarendo in specie la concreta portata degli obblighi di
vigilanza e di educazione incombenti sui genitori attraverso la suddivisione
tra cd. culpa in vigilando e
cd. culpa in educando e riconoscendo a quest'ultima un ruolo preminente
(cfr. Cass. 30 ottobre 1984 n. 5564).
Muovendo da tale ottica, la Suprema Corte ha ricondotto la responsabilità
in analisi alla portata dell’art. 2048 cod. civ., evidenziando come nei
confronti del padre e della madre di un minore non ancora emancipato operi una
presunzione iuris tantum di colpa, la quale può essere superata soltanto
dalla prova contraria di aver correttamente vigilato al fine di impedire il
verificarsi del fatto, ovvero di aver impartito ai propri figli una “buona
educazione”.
In altre parole, quanto rileva per la Suprema Corte,
infatti, non è tanto il potere di custodia considerato in sé e per sé – peraltro
oggettivamente non esercitabile in concreto su un minore fisicamente estraneo alla sfera di controllo
dei propri genitori -, quanto piuttosto il generico dovere di educare la prole
a cui vanno ricondotte le conseguenze giuridiche ed i conseguenti riflessi
risarcitori che il mancato assolvimento di tale obbligo sociale e giuridico
produce all'interno dell'ordinamento.
In conclusione, quindi, la trasgressione dell'obbligo di
educare la prole configura ipotesi di condotta omissiva, come tale idonea ad
integrare una responsabilità iure proprio dei genitori per culpa in
educando. A seconda delle condizioni del caso concreto, poi, la forma di
responsabilità in esame potrà eventualmente coesistere con quella per culpa
in vigilando in capo a coloro che condividono, per ragioni contingenti, il
potere di vigilanza unitamente agli esercenti la potestà parentale, senza
escludere la diretta responsabilità del minore ex art. 2043 cod. civ.