Con mio sommo stupore, apprendo solo oggi che in Inghilterra
un uomo transgender trentenne ha partorito lo scorso anno una bambina. Il
giornale britannico “Sun on Sunday” precisa che il trentenne, di sesso femminile
alla nascita, nel corso della sua vita aveva deciso di sottoporsi ad un’
operazione che di fatto gli aveva permesso sì di diventare uomo, ma col “beneficio”
(termine poco appropriato, me ne rendo conto) di mantenere “attiva” la
funzione dell’ utero, organo come noto indispensabile per la procreazione.
Ora, se questa notizia non è frutto della fantasia di
qualche brillante giornalista in cerca di notorietà, è opportuno chiedersi fino
a che punto l’umanità si spingerà.
In onore di una tradizione liberale che in Italia ha avuto
senz’altro minori consensi rispetto ad altre nazioni europee, si sente spesso
parlare di matrimonio tra omosessuali nonché di adozione di minori da parte di
coppie omosessuali.
Di recente, il Parlamento europeo ha sancito che i governi
del Vecchio Continente non devono dare "definizioni restrittive di
famiglia" allo scopo di negare protezione alle coppie omosessuali e ai
loro figli. Tale posizione è stata espressa nel rapporto sulla parità di
diritti tra l'uomo e la donna presentato dalla radicale di sinistra olandese
Sophie in’t Veld ed è stato approvato nella giornata di ieri dall’Eurocamera.
In Italia ha fatto storia in materia la sentenza n. 138/20120
della Corte Costituzionale la quale ha affermato che “L’art. 2 Cost. dispone
che la Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità,
semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della
persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello
pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale,
intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta
il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia,
ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il
riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
In buona sostanza,
con questa pronuncia, la
Consulta, interpellata in merito alla costituzionalità
di alcuni articoli del Codice Civile che, di fatto, a causa della terminologia
utilizzata, impediscono il matrimonio tra individui dello stesso sesso, ha affermato
che le coppie omosessuali devono comunque vedere soddisfatta l'aspirazione
all'accesso a determinati diritti, lasciando sul punto ampia discrezionalità al
Parlamento.
Ciò chiarito, il caso in questione mi pare differisca da
considerazioni legate all’ammissibilità futura dei matrimoni omosessuali in
Italia.
Noi ad oggi stiamo ancora a discutere sulla legittimità
delle coppie di fatto; qui si parla di una donna, se bene ho inteso, che decide
di cambiare sesso. Nulla di così strano, se non fosse che diiventata uomo, chiede
(ed ottiene) di mantenere utilizzabile il proprio utero, non precludendosi pertanto
la possibilità in futuro di partorire. Ma io mi chiedo. Ma non era diventata
uomo?! Non aveva scelto di essere uomo, abbandonando il sesso femminile?
Un conto è discutere circa la regolamentazione delle unioni omosessuali,
annoverandole tra le formazioni sociali finalizzate “a
consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione,
nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”; sul punto si può
essere d’accordo oppure no.
Senza dubbio, ben altro discorso è
domandarsi se una donna, divenuta per sua scelta uomo, possa dare la vita.
O meglio se un uomo, abbandonato per sua
scelta il sesso femminile, possa dare la vita.